Provaci ancora, Woody

di Paolo Valassi

A quanto pare Woody Allen avrebbe realizzato l'ennesimo capolavoro. Secondo alcuni critici il recente Midnight in Paris (2011) sarebbe il miglior film del newyorkese dai tempi di Macht Point (2005).
Innanzi tutto sgombriamo il campo da ogni equivoco: ritengo che Allen sia un grandissimo e che ci abbia regalato film che resteranno nella storia della settima arte. Ma come ogni artista del cinema (da Chaplin in giù) e non solo del cinema, Woody sta vivendo una parabola che lo ha visto toccare il vertice nel decennio che va dalla fine degli anni ’70 (Io e Annie è del 1977) alla fine degli anni ‘80 (Crimini e misfatti è del 1989). Dagli anni ’90 in poi è autore di discrete o, in qualche caso, buone prove da regista che però non posseggono l’originalità e la genialità delle opere uscite durante il succitato decennio.

I due film recenti considerati migliori, cioè appunto Match Point e Midnight in Paris, in realtà girano attorno a tematiche sviluppate con ben altra incisività in due capolavori assoluti come, rispettivamente, il già citato Crimini e misfatti La rosa purpurea del Cairo (1985).
Se vogliamo essere cattivi Match Point è semplicemente il remake in salsa londinese di Crimini e misfatti. La storia dell’oculista newyorkese di Crimini e misfatti perseguitato dall’amante che alla fine fa uccidere pur di non distruggere il suo ménage alto borghese ebraico è trasportata a Londra. L’oculista diventa un tennista irlandese che guadagna posizioni nella scala sociale sposando la rampolla di una famiglia altolocata (che sia un riferimento a Barry Lyndon ?). Quando il tennista si fa l’amante e la mette pure incinta tutto sembra perduto e per evitare ciò la uccide simulando una rapina. In Match Point Allen riprende i temi del delitto senza castigo, dell’assopimento della coscienza e dell’autoassoluzione ma senza la profondità di Crimini e misfatti dove erano presenti almeno due personaggi chiave: il rabbino Ben che sta progressivamente perdendo la vista, simbolo di un Dio che non vede tutto e che lascia gli essere umani alla loro deriva etico-morale; e il filosofo Levy, unica voce critica e raziocinante del film che però alla fine si toglierà la vita “uscendo per la finestra”, chiaro riferimento a Primo Levi suicidatosi nel 1987.

Woody Allen


L’altra coppia di film è invece accomunata dal tema della fuga dalla realtà.
Ne La rosa purpurea del Cairo la fuga avviene attraverso il cinema: Tom, l’eroe cinematografico della protagonista (Cecilia, interpretata da Mia Farrow), esce materialmente dallo schermo e inizia con lei una storia d’amore. Il film non può procedere e quindi la produzione incarica Gil, l’attore che interpreta Tom, di andare da Cecilia e aiutarla a convincere Tom a “ritornare dentro lo schermo”. Questo intreccio permette a Woody una riflessione sul significato del cinema come macchina dei sogni e meccanismo di evasione da una realtà alienante e crudele ma che forzatamente dobbiamo vivere.
In Midnight in Paris la fuga da un mondo deludente e frustante avviene invece attraverso un’automobile/macchina del tempo che ogni notte, a mezzanotte precisa, trasporta il protagonista nell’epoca da lui agognata, gli anni ’20 del secolo scorso, dove avrà l’opportunità di incontrare, fra gli altri, Hemingway, Dalì, Gertrude Stein, i coniugi Fitzgerald, Picasso, Man Ray. Fra gli incontri anche quello con l’attuale amante di Picasso nonché ex di Modigliani (“con te le groupie fanno un salto di qualità…”) che invece anelerebbe vivere nella Parigi di fine ’800. 
Morale finale: nessuno è felice per dove si trova, come dice Antoine de Saint Exupery ne Il piccolo principe ma dobbiamo accontentarci della nostra epoca perché nulla può consentirci di sfuggire al nostro tempo e a noi stessi.

“Il pubblico vuole vedere sempre gli stessi film. Invece bisogna deluderlo, altrimenti non si farebbe nulla di interessante nell’arte”.
Come sono lontani i tempi in cui Woody pronunciava questa frase.